Le Cantine Lungarotti, un ponte tra passato e futuro fondato sul presente
Phrinos mi ha fatto, tu sii felice
Iscrizione su una coppa del VI a.C.
Museo del Vino di Torgiano
Tanti gli articoli scritti, i produttori conosciuti e i vini assaggiati in questi anni eppure, a volte, il compito che mi aspetta nell’affrontare un nuovo articolo continua a sembrarmi troppo grande, non tanto per la mole di notizie che sarebbe bello potere approfondire o per la difficoltà di alcuni aspetti tecnici, quanto per il timore di non sapere esprimere le emozioni, le sensazioni e i ricordi di quelle visite e quegli assaggi. La sensazione che si prova, infatti, nel visitare alcune storiche Cantine è quella di partecipare alla storia, di godere della rara opportunità di poter respirare il passato, grazie ai racconti e all’entusiasmo di chi ha vissuto e vive quotidianamente queste realtà e che, soprattutto, ne conosce la quotidianità degli aspetti privati e intimi e che parla di persone e avvenimenti che hanno fatto la storia dell’Italia enoica con la disarmante semplicità di chi racconta la propria vita di ogni giorno.
Quanto finora scritto è particolarmente vero e tangibile nel caso delle Cantine Giorgio Lungarotti che, alla grande storia aziendale e agli innumerevoli successi ottenuti con il loro lavoro, uniscono la profonda passione per la cultura, la storia e l’arte, dando così vita a un unicum che trova pieno compimento nella Fondazione Lungarotti Onlus e nei Musei del Vino di Torgiano (MUVIT) e dell’Olivo e dell’Olio (MOO). Nel corso della mia permanenza presso le Cantine Lungarotti ho avuto il grande piacere di poter godere di un’approfondita visita al MUVIT ove il presente e il passato sembrano fondersi in un tutt’uno nel quale storia, tradizione, mitologia, cultura, arte, tecnologia altro non sono che ingredienti di quella meravigliosa alchimia chiamata vino.
Lungarotti, ovvero vino, conoscenza e imprenditoria
L’Umbria vanta una lunghissima storia vitivinicola le cui origini si perdono nell’epoca etrusca o ancor prima, come testimoniato, ad esempio, dall’utilizzo dell’allevamento a tutore vivo, talvolta ancora osservabile all’inizio dei filari più vecchi. Nonostante questa plurimillenaria tradizione, la vitivinicoltura umbra, pur presente in modo capillare sul territorio, si è affacciata alla seconda metà del XX secolo ancora strettamente legata a tecniche e mentalità contadine di coltivazione promiscua e autoconsumo o, al più, di vendita sfusa in ambito strettamente locale. In altre parole, produrre vino era pratica talmente comune e diffusa da non farla percepire come possibile oggetto di investimento e sviluppo personale e territoriale.
È in questo contesto che, nel 1962, Giorgio Lungarotti, appartenente a una famiglia di imprenditori agricoli, decide di puntare esclusivamente sulla vite e sul vino e – dopo avere abbandonato le altre attività agricole – dà vita, a Torgiano (PG), alle Cantine Lungarotti potendo inizialmente contare su poco meno di 30ha, tra vigneti di proprietà e vigneti in affitto, suddivisi in più porzioni.
Gli anni seguenti sono caratterizzati dal continuo susseguirsi di ampliamenti e investimenti che portano l’Azienda a poter oggi contare su circa 230ha di vigneti proprietà in comune di Torgiano ove costituiscono un ampio semicerchio. Giorgio Lungarotti raggiunge, nel corso della propria vita conclusasi nel 1999, importanti riconoscimenti sia personali sia per il proprio territorio, quali, ad esempio, l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro ricevuta da parte dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, nonché il riconoscimento della Doc Torgiano nel 1968 e della Docg per il Torgiano Rosso Riserva nel 1990, quest’ultima con valore retroattivo fino alla vendemmia del 1983. Fu uomo capace di vedere sempre il futuro con lucidità viaggiando sempre avanti agli altri. Lo dimostrò nel lontano 1962 e lo confermò, se mai ve ne fosse ancora stato bisogno, nel 1978 dando vita, sempre a Torgiano, all’Albergo a 5 Stelle “Le 3 Vaselle” poiché già in cuor suo sapeva che vino e turismo avrebbero avuto davanti un lungo cammino in comune e voleva essere pronto ad affrontare tale percorso; in seguito, l’Albergo venne affiancato dall’agriturismo Poggio alle Vigne e, in tempi recenti, dal U Winebar, ricavato all’interno della Vecchia Fornace di Torgiano. Al suo fianco, la moglie Maria Grazia Marchetti Lungarotti che, oltre ad affiancarlo nell’attività di famiglia, lo sprona a intraprendere il percorso che darà vita ai due Musei e, nel 1987, alla Fondazione Lungarotti Onlus.
Dopo la scomparsa di Giorgio, l’Azienda è stata guidata – oltre che dalla Signora Maria Grazia, impegnata però fortemente nella direzione della Fondazione – dalle sue due figlie Chiara Lungarotti – laureata in agraria – e Teresa Severini Zaganelli – enologa – che, continuando nel solco già chiaramente tracciato, hanno deciso di mantenere forte il loro impegno nella valorizzazione delle Denominazioni umbre, acquistando 20ha di terreno esposto a sud-ovest a Turrita di Montefalco (PG) ove, oltre a costruire una moderna cantina completamente sotterranea, hanno realizzato ex novo un vigneto costituito da Sagrantino, Sangiovese e Merlot. In tempi più recenti, anche la terza generazione – rappresentata da Francesco Zaganelli, figlio della Signora Teresa – ha preso posto in Azienda, divenendo, forte della sua Laurea in Giurisprudenza e di un Master in Gestione d’Impresa, Export Manager della Cantina.
In un recente passato, ho avuto il piacere di intervistare le tre donne della famiglia Lungarotti e, pertanto, rimando a tale intervista (clicca qui) per ulteriori approfondimenti riguardanti le loro opinioni sul mondo del vino, della sua cultura e del suo mercato.
Il Museo del Vino di Torgiano: un viaggio senza tempo lungo i secoli
Non credo sia pienamente possibile descrivere con le parole cosa voglia dire per un appassionato di vino visitare questo Museo o, quanto meno, io non so se ne sarò capace. Le sale del MUVIT danno sostanza alle idee, concretezza all’immaginazione, rendono tangibile quanto letto e studiato. Sono lo specchio della storia, dell’arte, della centralità culturale che il vino ha sempre rappresentato per l’Umanità. Le coppe, le anfore, gli antichi torchi, i ferri da cialda, i libri, le incisioni o i vetri di Murano di Venini, pur se separati da migliaia di anni, sono uniti dalla centralità del vino, dalla sua capacità di unire gli uomini con la divinità nonché di dare concretezza ai concetti di ospitalità e di amicizia.
Il Museo – inaugurato il giorno 23 aprile 1974 nella giornata dedicata a San Giorgio, il Santo protettore delle attività agricole – è ospitato nei seicentesco Palazzo Graziani-Baglioni e raccoglie più di 3.000 reperti esposti in 19 sale.
Le prime sale sono dedicate al mondo antico e vi si possono osservare reperti di età assira, greca, etrusca e romana; antiche bocche di canale recanti i segni dell’erosione dovuta allo scorrere plurisecolare del vino, urne funerarie, anfore, coppe, sculture mostrano il ruolo imprescindibile che il vino svolgeva presso queste culture, sia in ambito terreno sia nell’aldilà, rappresentando spesso il tramite fra i due mondi nonché il legame tra l’uomo, la terra e la sua fecondità; non a caso, Dioniso, divinità greca di probabile origine mediorientale, era considerato l’inventore della vite, del melo, del vino, della birra. A questo riguardo, l’Enciclopedia Treccani on line recita quanto segue: “Il vino, da lui donato agli uomini, era per i Greci la bevanda che faceva dimenticare gli affanni, che creava gioia nei banchetti, che induceva al canto, all’amore, nonché alla follia e alla violenza e che, nel sacrificio, era strumento di mediazione tra uomini e dei.” Chi avrà la fortuna di visitare queste sale non rinunci a godere della bellezza di una mano in marmo che sorregge un grappolo, quasi certamente riferibile a una statua proprio di Dioniso.
Il percorso continua lungo i molti secoli del Medioevo che hanno visto, soprattutto a partire dal X secolo d.C., la crescente importanza dell’ordine Benedettino nel preservare, migliorare e diffondere, gli antichi saperi agricoli con un occhio di riguardo proprio nei confronti della viticoltura. La rinascita del vino e la sua crescente importanza economica, oltre che culturale, è testimoniata dai numerosi Statuti Comunali – che ne normavano l’intera produzione in vigna e in cantina – nonché dal moltiplicarsi dei dazi commerciali. Continuando lungo il Rinascimento e le seguenti età barocca e neoclassica, numerosi reperti in ceramica, maiolica o vetro testimoniano il crescente ruolo del vino come manifestazione di lusso e ricchezza tramite manufatti raffinati di curatissima fattura. Il vino entra sempre più nella vita privata divenendo, anche, strumento di gioco o di erotismo, come testimoniato dai numerosi “bevi se puoi”, elaborati oggetti destinati al bere – singolarmente o in coppia – ma con dei trucchi che ne ostacolavano l’utilizzo. Assai ricche sono anche le collezioni di oggetti di uso ecclesiastico così come quelle dedicate alle attrezzature agricole o ai corredi delle osterie o dei viaggiatori.
L’importanza del vino nella cultura dell’ospitalità del centro Italia è testimoniata dalla nutrita serie di ferri da cialda del periodo compreso fra il XII e il XX secolo: con questi attrezzi – finemente cesellati spesso con lo stemma di famiglia – venivano prodotte le cialde, a partire da acqua, farina, anice e un bicchiere di Vin Santo, che erano poi servite caldissime agli ospiti insieme a un bicchiere proprio di Vin Santo. La tradizione voleva che il tempo di cottura delle cialde tra i ferri arroventati durasse il tempo di un’Ave Maria, un Padre Nostro e un Gloria al Padre.
Le sale successive ospitano ricche collezioni di maioliche, particolarmente importanti alcuni pezzi provenienti da Deruta (PG) e altri che furono di proprietà della famiglia Este, documenti legali quali editti pontifici, napoleonici o del Regno d’Italia, reperti legati all’uso del vino nella farmacopea colta e popolare, una collezione di vetri di Murano di Venini della serie “Incisi” o altre importanti opere di design quale, ad esempio, il “Grappolo” di Giò Ponti.
La cultura contadina è ampiamente raccontata con le collezioni di oggetti e fotografie che ben rappresentano la vitivinicoltura del luogo e tra i quali spicca un monumentale torchio orizzontale eugubino in rovere, capace di sviluppare una pressione di circa 12 tonnellate e datato intorno alla metà del 1700; tale torchio, costruito sul modello descritto da Catone, ha effettuato la sua ultima pressatura nel 1972.
Particolare importanza è rivestita dalla collezione di incisioni di tema bacchico da lastre di rame tra le quali spiccano due opere rispettivamente di Andrea Mantegna e di Picasso.
La nutrita collezioni di libri antichi o rari legati al vino e alla viticoltura e la nutrita serie di oggetti bacchici, realizzati fra il XVI secolo e i nostri giorni, concludono questa assai incompleta descrizione di una visita che non può non far parte del bagaglio di chi voglia approfondire la storia del vino e dell’Umanità.
Le Cantine Lungarotti e i loro vini: appunti di degustazione
Le molte le etichette prodotte dalle Cantine Lungarotti e i molti gli assaggi che ho avuto la fortuna di effettuare durante e dopo la mia visita in Azienda mi pongono di fronte alla necessità di compiere delle scelte e di raccontare solo quei vini che maggiormente mi sono rimasti impressi e che, a vario titolo, meglio raccontano l’Azienda e il suo territorio.
Torre di Giano – Bianco di Torgiano Doc – 2015
Questo vino, che fu il primo bianco prodotto da Giorgio Lungarotti, è prodotto con uve Vermentino (50%), Trebbiano toscano (20%) e Grechetto (30%) coltivate su suoli argillosi; è vinificato in acciaio dopo una breve criomacerazione.
Alla vista, il Torre di Giano si presenta di un delicato e luminoso color paglierino che invita a portare il calice al naso svelando un bouquet intenso e fine caratterizzato, in una prima fase, dalla frutta bianca croccante e dalle note floreali del gelsomino. Una breve e delicata rotazione svela, oltre a timide e gradevoli sensazioni di banana, un insieme di profumi riconducibili agli agrumi nonché ai sentori delle erbe aromatiche. L’assaggio regala un vino di buon corpo nel quale le morbidezze, rappresentate dalle glicerine e da un lieve residuo zuccherino, trovano un adeguato sostegno nella spiccata sapidità nonché in una lineare freschezza che, nel loro insieme, gli donano equilibrio e gradevolezza di beva; la soddisfacente persistenza conclude degnamente un assaggio facile ma non banale.
Degustazione del giorno 31 agosto 2016
Torre di Giano “Vigna Il Pino” – Bianco di Torgiano Doc – 2011
Le uve Trebbiano toscano (70%) e Grechetto (30%) utilizzate per la produzione di questo Bianco di Torgiano Doc provengono dal vigneto “Vigna il Pino”, coltivato su suoli argillosi con esposizione occidentale. Il 30% del mosto fiore da esse ottenuto fermenta e matura sulle fecce fini in barrique per circa tre mesi per venire poi unito, dopo un affinamento di circa sei mesi, al rimanente 70% in vasche Inox ed essere successivamente imbottigliato; la messa in commercio avverrà dopo circa tre anni di permanenza in vetro.
Vino dorato e luminoso che offre al degustatore un naso ampio e profondo, sostenuto dalle note fruttate dell’albicocca matura e della mela Golden impreziosite da una fitta filigrana di sensazioni che, giocando con i nostri sensi, ci riportano alla mente il Mar Mediterraneo grazie alle sensazioni di cedro fresco, rosmarino, ginestra e gelsomino che – con il trascorrere del tempo – emergono dal bicchiere. Il sapiente uso del legno arricchisce il bouquet di lievi sensazioni boisé che, senza mai coprirne le caratteristiche, ne ingentiliscono l’insieme.
In bocca, si offre ampio, morbido, succoso, di ottimo corpo ed equilibrato grazie all’evidente sapidità nonché alla ben presente freschezza. La lunga persistenza e la piacevolezza del fin di bocca colmano perfettamente il tempo che ci divide dal sorso successivo.
Degustazione del giorno 18 settembre 2016
Aurente – Umbria Igt Chardonnay – 2009
Le uve Chardonnay sono ottenute da vigneti allevati su suoli di media collina ricchi da sabbie che ricoprono strati calcarei piuttosto profondi. L’Aurente fermenta e affina sulle fecce fini interamente in barrique per circa sei mesi prima di essere imbottigliato e riposare in vetro in attesa della messa in vendita. La bottiglia dell’annata 2009 qui recensita proveniva dall’archivio storico aziendale.
La luce dorata, che colma il calice mano a mano che il vino lo accarezza, prelude a un naso ampio, fine e avvolgente, che coniuga la frutta gialla matura agli agrumi canditi e l’ananas sciroppato a una vellutata nota burrosa, il tutto ammantato – ma non coperto – da piacevoli sentori boisé; col tempo, gli agrumi divengono più nitidi riconducendo così i nostri sensi al cedro candito al quale si uniscono, donando all’insieme una leggera verticalità grazie alla loro venatura balsamica, le sensazioni floreali del tiglio.
In bocca, l’Aurente 2009 si offre ampio, morbido, pieno e capace di sfoggiare un ottimo corpo ben sostenuto da un’ancora più che soddisfacente freschezza che regala equilibrio all’assaggio; la lunga persistenza ci accompagna alla conclusione di un assaggio di piena soddisfazione.
Degustazione del giorno 22 aprile 2016
Rubesco – Torgiano Rosso Doc – 2012
Prodotto con uve Sangiovese (90%) e Colorino (10%), coltivate su suoli argilloso – sabbiosi, il Rubesco 2012 è stato affinato un anno in botte grande e in seguito ha atteso in bottiglia per almeno un altro anno prima della commercializzazione.
Alla vista, si presenta di un bel color rubino intenso che apre a un naso ampio e gradevole nel quale, inizialmente, spiccano le note della ciliegia matura e del melograno e alle quali si aggiungono – sovrapponendosi ma senza mai prevaricarle – garbate sensazioni di potpourri di fiori rossi nonché sentori speziati di pepe nero e noce moscata.
In bocca, svela un buon corpo che trova nella composta freschezza e nella tessitura tannica, connotata da un’adolescenza ancora non sopita, la chiave di una beva piacevole e giovanile.
Degustazione del giorno 12 ottobre 2016
Rubesco “Vigna Monticchio” – Torgiano Rosso Riserva Docg – 2008
Le uve Sangiovese che hanno dato vita a questo Torgiano Rosso Riserva sono state coltivate nei 12ha della celebre Vigna Monticchio, caratterizzata da sedimenti lacustri nei quali si alternano frange argillose ad altre sabbiose. Dopo la vinificazione, caratterizzata da lunga macerazione sulle bucce, questo vino affina per circa un anno per metà in barrique e per metà in botte grande prima di essere trasferito in bottiglia dove riposerà per almeno altri cinque anni prima di essere messo in vendita.
Il rosso rubino quasi impenetrabile di questo Vigna Monticchio appare, alla vista, solo sfiorato dallo scorrere degli anni che si rende appena percepibile grazie alle lievi pennellate granato che ne rendono il colore ancora più vellutato e avvolgente.
Le note di ciliegia matura, mora e prugna disidratata rappresentano l’asse portante del suo bouquet intorno al quale sembrano turbinare le sensazioni di carruba, noce moscata, chiodo di garofano e cassis che lo arricchiscono rendendolo complesso, elegante e profondo; alla sua già notevole ampiezza si affiancano, col trascorre dei minuti, fini sentori mentolati che gli conferiscono un’evidente verticalità balsamica.
L’ingresso in bocca è nitido e compatto ma, nel contempo, ampio, succoso e profondo. La pienezza del corpo trova il proprio perfetto contrappunto nei tannini fitti e setosi nonché nella composta freschezza; la lunga persistenza ci conduce, con piena soddisfazione, alla conclusione di questo assaggio.
Degustazione del giorno 1 ottobre 2016
Rubesco “Vigna Monticchio” – Torgiano Rosso Riserva Docg – 1997
Proveniente dall’archivio storico aziendale, questo Vigna Monticchio 1997 colpisce, fin dal primo sguardo, per la luminosità del suo color granato che mi carica, se ancora ve ne fosse bisogno, di ulteriori aspettative. Tali aspettative trovano piena soddisfazione non appena la pienezza del frutto mi raggiunge, offrendomi profumi di confettura di ciliegie, cassis, mora e prugna disidratata che sembrano sorreggere un ininterrotto scorrere di emozioni evocate dei sentori del pepe nero, degli agrumi e dei fiori rossi. Col tempo, il già complesso bouquet trova il proprio pieno compimento con la comparsa della nota ematica nonché di sensazioni di eucaliptolo, inchiostro di China e cioccolato fondente.
All’assaggio, si presenta dotato di nerbo, struttura e ricordi di gioventù. L’ingresso è avvolgente ma compatto e capace di accarezzare la bocca grazie alla pienezza del corpo e a una struttura tannica di grande setosità e avvolgenza. Vino gradevolmente caldo, di eccellente equilibrio e marcata personalità, è capace di far convivere la maturità con la gioventù in un unicum armonico, molto persistente e dalla beva piacevole ma certo non scontata.
Degustazione del giorno 8 dicembre 2016
Rubesco “Vigna Monticchio” – Torgiano Rosso Riserva Doc – 1977 – Bottiglia n° 7535 di 10100
Granato con evidenti riflessi rubino: sarebbero sufficienti queste poche parole per dare la misura di questa bottiglia – anch’essa proveniente dall’archivio storico aziendale – che, alle soglie dei 40 anni, si offre, alla vista, di una disarmante gioventù.
Appena versato nel calice, questo 1977 si propone con un’evidente sensazione fumé arricchita da una ben presente balsamicità che, nel suo complesso, riporta alla memoria le sensazione di un falò di legni resinosi. A seguire, i nostri sensi sono raggiunti da sensazioni di frutto rosso maturo, cassis e prugna disidratata all’interno delle quali si fanno strada gradevoli sensazioni ematiche. Alcune lievi rotazioni, e la dovuta pazienza, ne fanno ulteriormente evolvere il bouquet nel quale le sensazioni affumicate lasciano spazio ai sentori agrumati del chinotto e dell’arancia amara. Nel complesso, un panorama olfattivo affascinante, sontuoso e mutevole, capace di coniugare ampiezza e verticalità nonché intensità ed eleganza.
All’assaggio, si offre profondo, compatto, di corpo ed eccellente equilibrio grazie ai tannini che, pur se fitti e avvolgenti, mantengono carattere e spessore conferendo all’insieme, ovviamente con l’aiuto della nitida freschezza, equilibrio ed armonia. La lunga persistenza e la nobiltà del fin di bocca aiutano a fissare nel cuore un assaggio che non sarà dimenticato.
Degustazione del giorno 22 aprile 2016
San Giorgio – Umbria Rosso Igt – 2006
Vino ottenuto da uve Cabernet Sauvignon (50%), Sangiovese (40%) e Canaiolo (10%), è affinato per circa 12 mesi in barriques e per almeno sei anni in bottiglia.
Il San Giorgio spicca alla vista per la gioventù e l’intensità del proprio color rubino che risulta essere praticamente impenetrabile.
Il naso – fine, complesso e connotato da profumi “scuri” – apre con sensazioni evidenti di chinotto nonché con sentori di frutti rossi e neri molto maturi, tra i quali è facile riconoscere la ciliegia, il mirtillo nero e la mora. Col tempo, dal calice emergono sensazioni di spezie dolci, fiori rossi appassiti, liquirizia nera e cioccolato fondente alle quali, in seguito, andranno ulteriormente ad affiancarsi delle lievi note di fieno.
In bocca, regala un corpo pieno e succoso nel quale trovano la dovuta collocazione i tannini – di bella fattura – nonché una giovanile acidità che, unitamente, gli conferiscono il dovuto equilibrio; lunga la persistenza.
Nel complesso, un vino che non dimostra la sua età e che, pur essendo sicuramente già pronto al consumo, troverà, negli anni a venire, il pieno raggiungimento delle sue possibilità.
Degustazione del giorno 1 ottobre 2016
Ringraziamenti
Un sentito ringraziamento va alla Famiglia Lungarotti per la squisita ospitalità e, in modo particolare, a Francesco Zaganelli, che ci ha accompagnato lungo tutta la nostra visita mostrandoci e raccontandoci quanto era necessario per godere pienamente di questa magnifica opportunità.
Un sincero grazie è, anche, dovuto al Dott. Lorenzo Lepri – archeologo e responsabile dell’accoglienza e della didattica presso il Museo del Vino di Torgiano e il Museo dell’Olivo e dell’Olio – per la cortesia e per le più che esaurienti spiegazioni durante la nostra visita al MUVIT.
Da ultimo, ma non certo per importanza, mi fa piacere ricordare che gli assaggi del giorno 22 aprile sono stati svolti in compagnia del Delegato Fisar di Pavia – Roberto Pace – che ha condiviso con me la gioia di questa visita e che non posso non ringraziare per avermi messo a disposizione la sua lunga esperienza e la sua profonda conoscenza di questa Cantina.