2000 anni di Albalux: l’Erbaluce di Caluso e l’Azienda Cieck
Lo splendore della luna, colla sua luce,
ha dilacerata la veste della notte; bevi vino,
ché un momento simile non è possibile trovare
Umar Khayym (1048 – 1131)
Non più pianura, non ancora montagna: il Canavese, la porzione settentrionale della provincia di Torino al confine con la Valle d’Aosta, sembra sospeso nel tempo e nello spazio. I piedi ben piantati nell’alta pianura e la testa adagiata sulle antiche morene – le serre di Ivrea a levante e di Caluso a ponente – mentre lo sguardo si perde verso le Alpi, questa terra emana un fascino antico, che conforta il visitatore riportandolo ad un tempo passato fatto di agricoltura e allevamento, di valori veri e di solida concretezza.
Certo il trascorrere degli anni – nel bene e nel male – ha lasciato profondi segni nel paesaggio nonché nei modi di vita e di lavoro: l’abbandono dell’agricoltura a favore delle grandi fabbriche – Olivetti e Fiat su tutte – e il passaggio dalla viticoltura promiscua a quella specializzata, avvenuto in zona solo negli anni ’60 dello scorso secolo, hanno certamente cambiato per sempre il tessuto sociale del Canavese ma non ne hanno cancellato la memoria, l’orgoglio e la speranza.
Memoria di quando questa era terra di uve rosse – il Neretto di Bairo (o di San Giorgio, il buon Dio salvi l’Italia dei campanili…) e il Nebbiolo su tutti e l’Erbaluce era usato quasi esclusivamente all’inizio dei filari per produrre un po’ di uva da tavola appassita, oppure – tra la fine del XIX secolo e la seconda guerra mondiale – vinificato passito dai nobili locali (Conte di San Giorgio, Barone di Barone); orgoglio di aver traghettato le antiche tradizioni nel terzo millennio senza averle rinnegate o dimenticate e speranza di poter contribuire ad una rinascita del proprio territorio rispettandone l’essenza stessa di terra aspra ma capace, se rispettata e osservata con occhi capaci di vedere, di regalare infinite dolcezze.
Passato, presente e…futuro della viticoltura canavese: Erbaluce e Neretto di Bairo
Era il 1833 quando, nel suo Repertorio di Agricoltura pratica e di Economia domestica, il Prof. Rocco Ragazzoni scriveva, per quanto riguarda la composizione delle vigne nei comuni di Candia, Orio, Barone, Caluso, Mazzè e Vische, quanto segue: “Le (uve) bianche stanno a quelle di colore come 1 a 10, e l’Erbalus forma i tre quarti delle bianche…”. Analoghe considerazione valgono anche per i rimanenti comuni dell’area del Canavese. Nel corso del XIX, ad esempio, si stima – in media – che sulle morene il 60 – 65% dei vigneti fosse costituito da Neretto di Bairo (detto anche di San Giorgio), mentre a quote maggiori sembra divenissero più abbondanti le uve nebbiolo. Inoltre, nello stesso periodo l’Erbaluce sembra che occupasse un ruolo assolutamente marginale nella viticoltura della zona, tanto che si è stimata una presenza di circa il 4% di questo vitigno nei territori dei comuni di Aglié e San Giorgio Canavese e di circa il 5% a Caluso.
Tradizionalmente allevato a pergola ad ala singola, generalmente orientata verso oriente, l’Erbaluce è un vitigno vigoroso che necessita di sistemi di potatura a tralci lunghi perché non produttivo sulle prime tre o quattro gemme basali.
Il percorso verso la fama di questa varietà ha inizio verso la fine del 1800, per consolidarsi negli anni 20 dello scorso secolo, quando iniziarono ad affermarsi, specie per merito di famiglie della nobiltà locale, i Caluso passiti, ottenuti da uve di Erbaluce appassite naturalmente appesi oppure su graticci in appositi locali ben aerati. La vera svolta avviene, però, nel secondo dopoguerra quando si ravvisa – per il Canavese – la necessità di produrre un vino bianco di qualità.
La scelta si indirizza così sull’Erbaluce che viene, inizialmente, vinificato in rosso; con gli anni ’60, e con l’affermarsi della vinificazione in bianco, nascono e si diffondono i vini Erbaluce di Caluso così come oggi li conosciamo, seguiti poi dalle versioni spumantizzate in virtù dell’elevata acidità fissa delle uve che ben si prestano alla produzione di spumanti Metodo Classico di ottima fattura.
Le versioni passite hanno mantenuto la loro notorietà e continuano a dar vita – quando coltivate e vinificate secondo criteri di qualità – a vini dolci di grandissimo interesse anche grazie alla parziale botritizzazione subita dalle uve stesse durante l’appassimento oltre che, ovviamente, alla loro già citata elevata acidità fissa. L’Erbaluce di Caluso ottenne la Doc nel 1967 e la Docg nel 2010.
Contemporaneamente all’aumento di interesse nei confronti dell’Erbaluce, si è assistito ad una progressiva drammatica riduzione delle superfici vitate con varietà a bacca rossa, in particolare del Neretto di Bairo; questa varietà era ampiamente coltivata, un tempo, nell’area compresa fra i comuni di Castellamonte a ovest e quelli di Candia, Caluso e Mazzè a est. Si tratta di un vitigno in grado di produrre uve di buona qualità con un’acidità molto più ridotta rispetto, ad esempio, a quella del Barbera e un contenuto in zuccheri non particolarmente elevato, adatto a dar vita a vini idonei a essere consumati giovani.
Questo Neretto veniva tradizionalmente unito al Muster (nome locale in uso per l’Avarengo) che, grazie al proprio elevato tenore zuccherino, permetteva una leggera rifermentazione nella primavera successiva. Attualmente, è in corso un recupero di questa varietà che viene ora anche utilizzata per la produzione di spumanti Metodo Classico.
Il Neretto di Bairo svolge un ruolo centrale nella comprensione del patrimonio ampelografico dell’area alpina italiana e, più in particolare, di quello piemontese: questo vitigno è risultato, infatti, avere una relazione di parentela diretta con il Nebbiolo.
È importante, inoltre, ricordare che questa varietà risulta essere completamente separata da altri Neretto coltivati nella stessa zona, quali il Neretto duro o Balau, il Neretto gentile, il Neretto nostrano e il Neretto di Salto.
L’Erbaluce e il Canavese, un binomio inscindibile
Una suggestiva ipotesi per quanto riguarda l’origine del nome Erbaluce suggerisce che il nome derivi dall’antico nome romano Alba Lux, successivamente corrotto prima in Arbaluce e poi in Erbaluce, in quanto i suoi acini brillano al sole quando maturi. Storicamente, la prima menzione certa di questo vitigno – col nome di Elbalus – data 1606 ad opera di Croce (Della eccellenza e diversità dei vini che sulla montagna di Torino si fanno).
Poco è, però, noto sulle sue origini e parentele. Recenti ricerche lo pongono in relazione diretta con il piemontese Cascarolo bianco presente ai confini tra le province di Torino e di Asti; altri studi – da confermare – evidenziano affinità con il vitigno francese Clairette.
Nonostante l’Erbaluce sia noto in numerose zone del novarese con i nomi di Greco o Greco bianco, nessuna relazione è emersa fra questi vitigni. È anche noto con i nomi di Bian roustì o Uva rustìa per la tipica colorazione dell’uva quando ben matura.
La foglia adulta è di media grandezza, quinquelobata con forma da pentagonale a orbicolare. A maturità i grappoli sono di media grandezza, cilindrici e compatti e mostrano una, o più raramente due, ali; gli acini sono di media grandezza, di forma sferoidale e con buccia mediamente pruinosa, di colore giallo verdastro, che diviene di un tipico oro caldo rosato se esposta al sole.
L’Erbaluce Docg è prodotto in 37 comuni situati tra le serre di Ivrea e di Caluso principalmente in provincia di Torino, ad eccezione dei comuni di Moncrivello (VC), Roppolo, Viverone e Zimone (BI). Il Disciplinare prevede le tipologie fermo, spumante, passito e passito riserva; è prevista la menzione di vigna purché i relativi vigneti abbiano un’età d’impianto di almeno 3 anni.
I suoli dell’area di produzione sono di origine morenica, hanno tessitura moderatamente grossolana e sono caratterizzati da abbondante presenza di limo misto a sabbia e ciottoli.
Sulle colline moreniche esposte a meridione, il clima è relativamente mite, con inverni rigidi ed estati calde. La temperatura media annua è di poco inferiore ai 12°C. Le precipitazioni medie annue sono comprese tra 800 e 950 mm con massimi nella stagione primaverile e autunnale. Nei mesi di agosto e settembre, la relativa scarsità delle piogge e l’elevata escursione termica giornaliera creano le migliori condizioni per l’integrità degli acini e la maturazione ottimale dell’uva.
L’Azienda Agricola Cieck, ovvero il Canavese in bottiglia
Gli occhi sono una finestra sull’anima! Deve allora essere un’anima davvero appassionata quella di Remo Falconieri – papà di Lia che, insieme a Domenico Caretto, è oggi al timone dell’Azienda – dato che i suoi occhi si illuminano quando, dopo averci accolti in cantina in attesa della figlia, inizia a raccontarci della sua terra, delle sue vigne e della storia dell’Erbaluce e del Neretto di San Giorgio (lui, giustamente, preferisce chiamarlo così). Ascoltarlo è più che un piacere: ascoltarlo è un viaggio emozionante.
Ci narra della topietta – la tradizionale pergola corta con cui un tempo si allevava il Neretto – e di come nei registri della parrocchia di San Giorgio Canavese sia riportata la grande gelata che, cavallo fra 1600 e 1700, distrusse i vigneti del Canavese. Racconta di un’agricoltura di sussistenza che non esiste più, di quando tra i filari si coltivava il necessario per vivere e ogni famiglia allevava tre o quattro vacche.
È sempre lui a spiegarci la probabile origine del nome: una storpiatura di Ciech, perché nella antica cascina, dove era in precedenza la sede dell’Azienda, aveva vissuto una coppia di nome Francesco e Francesca, abbreviato quindi proprio in Ciech.
Fondata nel 1985, l’Azienda Agricola Cieck vinifica esclusivamente uve di proprietà, ottenute dai 16ha di vigneti siti sulle colline moreniche dei comuni di San Giorgio Canavese, Cuceglio e Aglié. I vigneti di Erbaluce sono allevati a pergola tradizionale mentre per quelli di Barbera, Nebbiolo e Neretto di Bairo è stata preferita la spalliera.
Cieck – Rosé Brut V.S.Q. – Metodo Classico L. 35/14
Ottenuto da uve Neretto di Bairo in purezza, questo spumante Metodo Classico costituisce il punto di incontro tra la tradizione, rappresentata dal mantenimento di un antico autoctono (peraltro prodotto anche nella tipologia rosso fermo col nome di Cieck Neretto Canavese Rosso Doc) e la volontà di esplorare nuove possibilità senza rinunciare al territorio.
Questo spumante, sboccato dopo una permanenza sui lieviti di 30 mesi, si mostra di un elegante colore buccia di cipolla chiaro impreziosito da bollicine molto fini e persistenti. Al naso sono i piccoli frutti rossi – prevalentemente amarena e ribes rosso – ad aprire una successione di profumi che prosegue rivelando note di pesca gialla e lievi sentori di liquirizia. Col tempo seguono note di piccola pasticceria, lychees e scorze di arancia candite. In bocca è di buon corpo, decisamente fresco ed equilibrato anche grazie alla lieve tannicità che ne agevola la beva; molto gradevole la chiusa anche se non di lunghissima persistenza.
Degustazione del 24 settembre 2014
Cieck – San Giorgio – Erbaluce di Caluso Doc Spumante VSQPRD – 2009 L. 187/10
Il primo Metodo Classico prodotto dall’Azienda, il San Giorgio matura 36 mesi sui lieviti prima della sboccatura. Paglierino brillante e intenso, questo Metodo Classico apre al naso con sentori di pesca bianca, fiori di acacia e nocciole tostate oltre a lievi sentori di lievito e a una gradevolissima nota citrina; il tutto è seguito, dopo un po’ di tempo, da nettissime sensazioni di camomilla. In bocca sposa una freschezza ancora tagliente ad un corpo capace di vestire la stessa di equilibrio e grande beva, coniugando intensità e finezza ad una più che soddisfacente la persistenza; il retrogusto è connotato da una piacevole nota ammandorlata che ci conduce – soddisfatti – al sorso successivo.
Degustazione del 17 ottobre 2014
Cieck – Calliope Brut – Erbaluce di Caluso Doc Spumante VSQPRD – 2009 L. 187/10
Ottenuto da una base fermentata e affinata per il 40% in legni piccoli di rovere, questo Metodo Classico viene sboccato dopo una permanenza di 36 mesi sui lieviti. Fin dal suo ingresso nel bicchiere, il Calliope affascina per il brillante color paglierino con evidenti riflessi dorati nonché per il suo perlage molto fine e persistente.
Portando il bicchiere al naso non si resta certo delusi nelle aspettative: i sentori di frutta gialla – albicocca e pesca – sono immediatamente seguiti da sensazioni di fiori di acacia, salvia e nocciola tostata oltre a note agrumate di pompelmo giallo; lievi profumi di vaniglia ci ricordano il sobrio passaggio in legno. In bocca colpisce per ampiezza e struttura: il corpo e la rotondità sono perfettamente sorrette da un’acidità ancora vibrante; decisamente degna di nota la persistenza.
Degustazione del 6 novembre 2014
Cieck – Misobolo – Erbaluce di Caluso Docg – 2013 L. 105/14
Prodotto con uve provenienti da un vigneto sito nelle vicinanze del Santuario di Misobolo e lavorato interamente in acciaio, questo Erbaluce Docg si presenta di un gradevole color paglierino e con un profilo olfattivo di ottima finezza, connotato da sentori di pera, pesca bianca ed erbe officinali, che si arricchisce, progressivamente, di note citrine e di lievi sentori di miele d’acacia. In bocca è caratterizzato dalla più che evidente freschezza, ben equilibrata dal corpo ricco e dalle giuste morbidezze; soddisfacente la persistenza e decisamente gradevole la chiusa leggermente ammandorlata.
Degustazione del 20 ottobre 2014
Cieck – T – Erbaluce di Caluso Docg – 2012 L. 185/13
Come il Misobolo, anche il T è prodotto con le uve del vigneto nei pressi del Santuario ma raccolte più tardivamente e vinificate dopo una macerazione a freddo di circa 48 ore. Il T, prima dell’imbottigliamento, matura sulle fecce fini in tonneaux di rovere. Il colore paglierino e il profilo olfattivo ricordano il Misobolo anche se il T è caratterizzato da una maggiore intensità. È in bocca, però, che questo Erbaluce Docg ha modo di esprimersi al meglio, rivelando un’ottima struttura e un grande equilibrio pur nel rispetto della tipicità del vitigno e della piacevolezza di beva.
Degustazione del 24 ottobre 2014
Cieck – Alladium – Erbaluce di Caluso Passito Doc – 2007 L. 212/13
Alcune degustazioni toccano l’anima. Sono in grado di farlo perché il vino – e il produttore – sanno dare qualcosa di più: non solo un elenco di descrittori e un gioco di equilibri ma una vera alchimia di caratteristiche oggettive unite ad altre che – pur se difficili da descrivere in virtù della loro ineffabilità – rappresentano la vera ragione per cui occuparsi di vino. Sono emozioni fugaci, piccole sensazioni talmente lievi da non raggiungere la percezione cosciente, ma sono loro a far sì che un vino ti resti dentro, ti regali qualcosa di importante e ti arricchisca come professionista e come persona. Certo ora dovrò descrivere l’Alladium ma credo – anzi spero – che le mie prossime parole non aggiungeranno nulla di veramente importante a quanto già scritto in queste ultime righe.
Nel versare questo passito, l’oro antico del suo colore sembra riempire il vetro col cristallo. I profumi escono in successione, talvolta rapidi, talvolta lenti, sempre finissimi: uvetta appassita, fico secco, zafferano e poi una lieve nota eterea. Altri sentori, altre sensazioni: miele di castagno, zenzero, tamarindo e ancora mallo di noce, grafite e pesca sciroppata.
Un attimo di attesa per tornare con la mente ai profumi percepiti e poi l’assaggio: dolcezza e acidità si rincorrono in un gioco senza vincitori, sostenendo e impreziosendo il corpo rotondo con un tessuto di puro piacere. Ora l’ultimo atto: un secondo, due secondi, tre secondi….10 secondi e poi avanti, ma non è questa la sua vera persistenza: l’Alladium sarà, infatti, per sempre persistente nella nostra memoria.
Degustazione del 15 novembre 2014
Azienda Agricola Cieck
Cascina Castagnola, 2
10090 San Giorgio Canavese (TO)
E-mail: info@cieck.it
www.cieck.it