Il vino dell’Ape Maia
Chi mi conosce lo sa: nella vita ho sempre fatto lo zoologo e, pertanto, le mie conoscenze agronomiche e chimiche sono molto più che insufficienti. È per questo motivo che, nelle righe seguenti, non mi avventurerò nelle insidiose e tortuose strade della polemica tra viticoltura biologica e viticoltura convenzionale, ma mi limiterò a sollevare alcuni problemi, lasciando ad altri, ben più competenti, di identificare le soluzioni soppesandone costi e benefici.
L’idea di scrivere queste righe nasce da un recente articolo pubblicato da un team internazionale di ricercatori (in gran parte italiani, n.d.A.) sulla prestigiosa rivista americana “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America” (per gli addetti ai lavori Impact Factor 9,68 nel 2011) dal titolo “Role of social wasps in Saccharomyces cerevisiae ecology and evolution” (Pnas, Early Edition, www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.1208362109). Gli autori dimostrano che numerose specie di imenotteri sociali (per intendersi, api vespe, calabroni), i cui adulti sono in grado di superare l’inverno, ospitano sul loro corpo cellule di lieviti autoctoni (Saccharomyces cerevisiae) svolgendo in tal modo l’involontario ruolo di vettore e serbatoi di biodiversità per tali lieviti. È stata osservata, infatti, una stretta rispondenza fra i cloni di lieviti presenti in vigna e quelli osservati sulle popolazioni locali di tali imenotteri (Vespa crabro and Polistes spp.). Emerge anche un altro fato di grande interesse: questi insetti sono vettori anche dei ceppi selezionati sfuggiti all’attività umana in cantina.
Questi i fatti! E quindi?
Numerose sono le considerazioni che mi vengono in mente in relazione sia alla conservazione della biodiversità naturale sia alla tutela della tipicità dei vini.
Ecco la prima e, a mio avviso, la più importante tra queste riflessioni: le relazioni fra i diversi organismi negli ecosistemi (e anche negli agrosistemi) sono spesso ancora sconosciute come sconosciuti sono gli effetti delle interferenze antropiche su dette relazioni. Questo fatto implica che qualunque intervento umano potrebbe modificare l’ambiente in modo tale da provocare danni importanti non solo all’ambiente stesso ma anche – e forse per molti…soprattutto – anche alle attività economiche. In particolare, l’eliminazione di vespe e calabroni causata dall’uso degli insetticidi (neonicotinoidi su tutti, ma anche i più naturali derivati del piretro per non scontentare nessuno…) potrebbe interferire nel mantenimento della biodiversità dei lieviti autoctoni con ripercussioni gravi per quei produttori che affidano a tali lieviti la ricerca della tipicità nel proprio vino.
Ignoto è anche effetto che la diffusione in natura dei lieviti selezionati potrebbe avere in futuro sulle comunità dei lieviti autoctoni modificandone la composizione e, pertanto, il loro effetto durante la fermentazione dei mosti; anche in questo caso, quindi, potremmo trovare alterazioni dei profili organolettici dei vini rispetto alla tradizione anche nei vini ottenuto per fermentazione spontanea e mediante inoculi di lieviti autoctoni mantenuti in Azienda.
Del tutto non prevedibile è, inoltre, l’effetto sulla biodiversità delle comunità di lieviti dovuta alla competizione tra le forme selvagge e quelle selezionate fuggite dalle cantine e veicolate, potenzialmente anche a distanze notevoli, dagli Imenotteri. L’effetto devastante delle specie alloctone (cioè non originarie di un determinato territorio) sulle comunità animali e vegetali è ormai ben documentato: pensiamo ai conigli o ai gatti in Australia o al gambero rosso della Louisiana in Europa.
La domanda che immagino sorga spontanea in tutti (in me sicuramente si…) è: e quindi, cosa si può fare? Io posso darvi una sola risposta: non lo so! A questa esplicita ammissione di ignoranza vorrei, però, aggiungere un’ultima considerazione: chi sa agisca! Deve agire! Non nell’interesse di una categoria o di un’idea astratta, bensì nell’interesse della collettività di oggi e di domani.