Opinioni a confronto: presente e futuro del vino nelle parole di quattro suoi protagonisti
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre,
ma nell’avere nuovi occhi
Marcel Proust
Enoturismo, comunicazione del vino, tutela e promozione degli antichi vitigni e delle piccole Denominazioni, sostenibilità ambientale, sociale ed economica della vitivinicoltura locale e nazionale rappresentano ambiti di infinita discussione e, nel contempo, la chiave di volta per permettere al comparto italiano della vite e del vino di superare le nuove sfide poste dall’apertura di nuovi mercati e di nuovi territori di produzione senza dover sacrificare qualità, tipicità, tradizione e fascino del nostro paesaggio naturale e vitivinicolo.
È evidente che, data la complessità dei problemi e del panorama produttivo italiano, le soluzioni passino da un’attenta analisi dell’attuale situazione nonché da un serrato confronto fra tutte le parti a vario titolo coinvolte. È, a mio avviso, altrettanto evidente che all’interno di un sistema di linee guida generali sarà assolutamente necessario modulare gli interventi in funzione della struttura sociale e produttiva di ciascuna Denominazione al fine di tutelarne e promuoverne valori e peculiarità nel pieno rispetto delle differenti esigenze e realtà territoriali.
Nasce così l’idea di porre le stesse poche domande a quattro diversi attori del mondo vitivinicolo italiano (titolare piccola azienda a gestione famigliare – responsabile marketing piccola azienda appartenente a un grande gruppo industriale – Export Manager di grande Azienda a gestione famigliare – Presidente di un Consorzio di Tutela) che possano in funzione dei loro differenti ruoli rappresentare uno spaccato del mondo enoico italiano e dei loro approcci alle sfide commerciali, sociali, economiche e ambientali che questo primo scorcio di secolo sta ponendo all’intero comparto. Ne è emerso, secondo me, un quadro non solo interessante ma direi anche confortante in quanto espressione di una visione comune e di un’unità di intenti che ritengo debba essere il presupposto indispensabile per il consolidamento della posizione e della fama del vino italiano nel mondo nonché per un futuro che tenga conto delle necessità sociali, ambientali ed economiche dell’intero Paese.
Gli intervistati e le loro Aziende
Antolini – Pierpaolo Antolini

Pierpaolo è il titolare, insieme al fratello Stefano, di questa Azienda famigliare attiva a Marano di Valpolicella e fondata nel 1992. Attualmente, la loro attività può contare su circa 9 ettari di vigneto dai quali danno vita a otto etichette che rappresentano in modo completo il panorama enoico del loro territorio esaltandone, oltre alla grande vocazione, anche le differenze tra alcuni dei molteplici terroir presenti.
Cantine Giorgio Lungarotti – Francesco Zaganelli
Forte della sua Laurea in Giurisprudenza e di un Master in Gestione d’Impresa, Francesco Zaganelli, nipote di Giorgio Lungarotti, riveste il ruolo di Export Manager per le importanti Cantine Giorgio Lungarotti, fondate proprio da quest’ultimo a Torgiano nel 1962.

Da allora le Cantine si sono affermate come una delle più importanti realtà produttive italiane ampliando il proprio campo di azione anche a Turrita di Montefalco (PG) oltre che rendendosi attive nella ristorazione, nell’ospitalità e nella cultura per merito della Fondazione Lungarotti Onlus e dei due musei dedicati rispettivamente al vino (MUVIT) e all’olio (MOO).
Consorzio Tutela del Gavi – Roberto Ghio
Neoeletto Presidente del Consorzio Tutela del Gavi, Roberto Ghio, classe 1977 e laureato in filosofia, ha scelto di continuare l’attività di famiglia occupandosi della Azienda Vitivinicola Ghio Roberto – Vigneti Piemontemare oltre che impegnandosi in una ristorazione fortemente legata al territorio.

La sua attività come vignaiolo all’interno del territorio del Gavi Docg nonché il suo impegno per la tutela e la promozione di queste magnifiche colline lo hanno portato, lo scorso mese di maggio maggio, alla presidenza del Consorzio di Tutela.
Tenuta Stella – Angelo Roberto Boneschi
Un diploma di Perito elettronico, anni di lavoro nel settore e poi la scoperta della sua grande passione per ciò che è buono – cibo o vino che sia – che lo conduce ad abbracciare anima e corpo la grande avventura che lo ha portato a farsi conoscere e apprezzare per competenza e professionalità nell’ambito enogastronomico da grandi ristoratori, produttori di vino e giornalisti di settore.

Nel 2010 giunge, come Responsabile Marketing, a Tenuta Stella, piccola azienda di Dolegna del Collio (GO) di proprietà del gruppo Stevanato, che vede la prima vendemmia nel 2011. Attualmente, l’Azienda produce circa 25.000 bottiglie in regime biologico in grandissima parte da vitigni autoctoni del Collio quali Friulano, Malvasia Istriana e Ribolla gialla.
La parola ai protagonisti
Di seguito riporterò le risposte di proprio pugno dei protagonisti appena presentati a quattro domande riguardanti la promozione del vino italiano e lo sviluppo sostenibile della nostra vitivinicoltura.
Il mio grazie va ovviamente a ciascuno di loro per la cortesia e la disponibilità dimostrata anche in quest’occasione.
Il vino italiano sta sempre più ampliando i propri orizzonti sui mercati esteri sia per quanto riguarda quelli più tradizionali sia per quelli emergenti: come ritieni debba essere raccontato il vino italiano all’estero per meglio farne apprezzare non solo la qualità ma anche la storia e la tipicità?
Pierpaolo Antolini: In modo schietto e diretto, raccontando quello che si fa in vigna ed in cantina; personalmente, essendo una cantina di prima generazione punto molto sulla passione e i social, in questo senso, aiutano.
Francesco Zaganelli: Ritengo che i produttori di vino italiani debbano focalizzare la loro attenzione sulla tipicità dei prodotti e sulla tradizione. Molti vini da noi prodotti hanno denominazioni di origine ben più datate rispetto a tanti vini provenienti dal nuovo mondo – nuovo forte competitor per i vini italiani all’estero – e questo è un vantaggio che non può e non deve essere sottovalutato. L’atteggiamento però deve cambiare a seconda del paese di riferimento; ovvero, se si parla di Nord America si deve tener conto di quali siano i vini più venduti e richiesti in quel mercato e occorre essere consapevoli che la maggior parte dei clienti sono essi stessi italiani o di origine italiana, quindi un buon atteggiamento è valorizzare la qualità del prodotto di cui gli stessi italiani, in quel mercato, sono porta bandiera.

Se invece si presenta il vino in Cina, Giappone o altri paesi molto lontani culturalmente dal nostro, allora l’approccio deve essere parzialmente diverso, in quanto oltre alla valorizzazione dell’aspetto qualitativo, occorre puntare sulla tradizione produttiva, vino come parte integrante della nostra cultura da millenni e accentuare l’aspetto della conduzione familiare.
Roberto Ghio: Il made in Italy all’estero è un marchio riconoscibile e noto per quanto riguarda i mercati. Questo non capita sempre nel caso di mercati emergenti (es. estremo Oriente), che hanno distanze e differenze culturali molto più ampie. In generale, però, si può dire che, nei mercati esteri bisogna prestare attenzione ad alcune cose e, in particolare, al fatto che il messaggio dell’italianità in relazione al vino deve essere per forza un messaggio culturale, legato alla qualità del prodotto. Inoltre, il problema fondamentale legato alla comunicazione del vino italiano è che, in una superficie nazionale grande come una tra le più piccole province cinesi, ci sono più denominazioni e varietà ampelografiche che nel resto del mondo. Occorre, dunque, trovare un modo univoco e riconoscibile per raccontare, ma bisogna raccontare la differenza.
Angelo Roberto Boneschi: All’estero è inutile raccontare i vitigni internazionali perché la competizione si svolge sul prezzo. È, perciò, necessario puntare sugli autoctoni che racchiudono in sé tipicità e storia. Il percorso è, però, molto lungo e costoso e, pertanto, il “racconto” deve avvenire con il supporto dei Consorzi oppure, meglio ancora, tramite l’aggregazione di un buon numero di produttori di qualità dello stesso vitigno.
La grande ricchezza ampelografica del nostro Paese e il gran numero di Denominazioni possono rappresentare sia un valore aggiunto sia un limite per la penetrazione dei nostri vini nei mercati: quanto credi si debba puntare su questi aspetti e quanto, al contrario, può convenire una loro semplificazione per lo meno in ambito commerciale?
Pierpaolo Antolini: Penso che si debba salvaguardare l’immenso patrimonio ampelografico dell’Italia ed usare questo per offrire un prodotto non standardizzato e monotono.

Una grande denominazione può aiutare nelle vendite però, per contro, può anche creare un’eccessiva concorrenza; personalmente cerco di fare un prodotto il più possibile tipico che abbia un’identità e che si distingua da tutto il resto: non dico più buono o meno buono ma diverso!
Francesco Zaganelli: La ricchezza ampelografica è sicuramente una ricchezza ma valorizzarla a volte non è semplice. Basti pensare, come esempio, al giovane cameriere di un bar di una città americana, che si trova a lavorare per la stagione estiva: tra un Sauvignon Blanc Neozelandese e un vino italiano frutto del blend di 4 vitigni di cui non ha mai sentito parlare, cosa pensate che proporrà con più facilità, se non adeguatamente istruito dal suo datore di lavoro? È un esempio estremo ma calzante e proprio per questo occorre formare il più possibile i rappresentanti/venditori/importatori che promuovono per nostro conto il vino all’estero, fornendo loro anche dei “key selling points” utili per rivendere il vino con più facilità al cliente finale. Far capire quindi che la biodiversità è un valore aggiunto e che l’Italia, da questo punto di vista, non ha eguali.
Roberto Ghio: Il fatto che l’Italia abbia il 60% o più delle bellezze artistiche del globo, il fatto che in Italia vi sia la più grande biodiversità mondiale, il fatto che in Italia ci sia una varietà pressoché infinita di culture, usi, tradizioni, dialetti, cibi e un’enorme ricchezza anche di varietà di vite ed una ancora maggiore ricchezza di denominazioni d’origine, dipende, a mio avviso, da quello che l’Italia è: una penisola con una proporzione altissima nel rapporto tra costa ed entroterra ed un’estrema variabilità altimetrica.
Un aspetto da sottolineare particolarmente sono i venti: in Italia ci sono tutti i venti. Pare impossibile dunque negare che ci siano anche tutte le correnti, sarebbe quindi, a mio avviso, imprescindibile e controproducente andare contro queste correnti pensando di poter semplificare o poter pensare di eliminarne alcune. L’Italia deve imparare e ricordare con orgoglio e consapevolezza il proprio passato, fare dei propri punti di debolezza, o di possibile debolezza, dei punti di forza. Nessuno ha la verità in tasca, ma penso che la comunicazione assomigli proprio al vento: una buona comunicazione per l’Italia deve assomigliare a quello che per secoli gli italiani sono stati maestri nel fare, navigare. Si tratta dunque di sfruttare i numerosi venti, in questo caso, delle denominazioni, trovando dunque una vela per ogni vento, che conduca ad una meta precisa.
Angelo Roberto Boneschi: Ricchezza ampelografica e tante Denominazioni sono un grande valore aggiunto per i piccolissimi produttori e per chi racconta il vino ma un grosso limite per entrare sui mercati, soprattutto esteri ed è fuori di dubbio che commercialmente sia indispensabile la semplificazione. Faccio un esempio che riguarda noi Doc Collio. Nei bianchi abbiamo tre autoctoni, Friulano, Ribolla Gialla, Malvasia Istriana. Conviene privilegiare la Ribolla Gialla perché unica e ben definita. Il Friulano come nome, dopo la perdita della denominazione Tocai, è troppo generico e di nomi Malvasia ce ne sono tanti in tutte le regioni.
La vitivinicoltura deve sempre più confrontarsi con la sostenibilità in ambito ambientale e sociale: come affronta la tua Azienda/Consorzio queste problematiche e quanto pensi possano influenzare la promozione dei vostri vini?
Pierpaolo Antolini: In tutto il mondo i consumatori pongono molta importanza alla sostenibilità e, ormai, la promozione dà più importanza a questa che alla qualità.
Fin dall’inizio abbiamo cercato di avere un impatto soft nell’ambiente: ora usiamo la confusione sessuale in tutti i vigneti e non usiamo più insetticidi chimici per la lotta alla tignola, siamo passati allo sfalcio meccanico e manuale tra le file e sulla fila, leghiamo i tralci con le “strope” (vimini) anziché la plastica, in cantina siamo energeticamente autosufficiente in quanto abbiamo un impianto fotovoltaico che copre tutto il fabbisogno, in azienda per ora lavorano solo i familiari e solo durante la vendemmia abbiamo degli stagionali di solito giovani studenti italiani.
Francesco Zaganelli: La Cantina Lungarotti è da sempre in prima linea nella promozione della vitivinicoltura sostenibile e dell’attenzione all’ambiente. Nel 2008 abbiamo creato, insieme al centro ricerche biomasse dell’Università di Perugia (CRB), un impianto per la creazione di energia termica mediante la bruciatura degli scarti della potatura dei vigneti; oggi, a distanza di 10 anni, siamo in grado di produrre il 70% del nostro fabbisogno energetico. Oltre a ciò, la cantina di Montefalco è in regime di coltivazione biologica, certificata dall’annata 2014, mentre la cantina di Torgiano è in regime di vitivinicoltura sostenibile a lotta integrata e senza alcun utilizzo di diserbanti (quindi con diserbo meccanico).
Roberto Ghio: Quando ho fatto l’esempio della navigazione, pensavo alla navigazione a vela, quando ho parlato del mare e dei venti, pensavo ad un mare pescoso e a un’aria pura, pensando all’agricoltura italiana, di primo impatto, nessuno pensa ad un’agricoltura intensiva o ad uno sfruttamento del territorio. L’ambiente italiano, da un lato, non si presta a questo genere d’agricoltura, dall’altro però si può notare come, storicamente, la nostra penisola sia stata già in epoca antica ed è tuttora modificata dal lavoro dell’uomo. Non si fa un favore al paesaggio italiano pensandolo vergine e dunque abbandonato dall’uomo, ma l’ambiente Italia è dove mi piace pensare che l’uomo abiti proprio a misura d’uomo.
In quest’ottica, riveste una particolare rilevanza la recente firma – da parte di oltre 100 tra produttori ed esponenti del panorama del vino nazionale, della comunicazione e della Responsabilità sociale di Impresa – della “Carta di Gavi del Vino Responsabile” nella quale sono sanciti i seguenti 10 imprescindibili principi: 1) Sposare i valori giusti, 2) Tutelare la terra, 3) Salvaguardare l’acqua, 4) Contrastare i cambiamenti climatici, 5) Impegnarsi per la Sostenibilità, 6) Proteggere la biodiversità, 7) Credere nelle persone, 8) Risparmiare nelle risorse naturali, 9) Promuovere la cultura e le arti, 10) Creare benessere per il territorio.
Angelo Roberto Boneschi: Tenuta Stella ha scelto, fin dall’inizio, come etica comportamentale, il rispetto, cioè quel sentimento che “induce a riconoscere i diritti, il ruolo, la dignità, il decoro di persone o cose e fa astenere dal recare loro offesa”

Per Tenuta Stella il rispetto in vitivinicoltura è :
– Rispetto del paesaggio, non stravolgendone l’impostazione originaria
– Rispetto del terreno, aiutandolo a vivere naturalmente
– Rispetto della vite, allevandola secondo la sua genetica
– Rispetto dell’uva, preservandone essenza e salubrità
– Rispetto in cantina, con operazioni pulite e meticolose
– Rispetto del vino, sapendo attendere i suoi tempi
– Rispetto del cliente, con forniture dal corretto rapporto qualità-prezzo
– Rispetto del degustatore, presentando sempre e soltanto vini schietti
È, questa, l’unica strada che noi riteniamo promozionale.
La vitivinicoltura e il turismo stanno stringendo rapporti sempre più profondi e complessi: quali credi siano le strade migliori per sfruttare pienamente l’enorme potenziale dell’enoturismo?
Pierpaolo Antolini: Bisogna fare rete con tutte le attività presenti sul territorio anche se questo, vista la mentalità piuttosto egoista che esiste sul territorio, non è semplice da attuare; solo creando una forte connessione fra tutte le realtà presenti in una determinata area e lavorando tutti insieme verso un unico obbiettivo si potrà ottimizzare la resa: la Strada del Vino Valpolicella sta cercando di fare proprio questo non senza difficoltà.
Quindi vino, ristorazione ed alloggio devono essere legati in un territorio insieme a tutto quello che vi si trova!
Francesco Zaganelli: Credo che l’arma vincente in tal senso sia quella di implementare strutture ricettive a fianco della cantina, facenti parte dello stesso gruppo o convenzionate, che consentano ai turisti di fermarsi più di un solo giorno, potendo quindi ammirare le bellezze dei luoghi circostanti e non soltanto la cantina in sé (promozione turistica dell’intero territorio). Occorre poi che le cantine siano sempre di più “aperte” ai visitatori, in grado quindi di presentare personale qualificato che conosca bene l’inglese e possibilmente un’altra lingua, adeguatamente formato per effettuare visite in cantina, degustazioni e per organizzare anche meeting aziendali, convention, cene e pranzi tra gruppi di amici o aziende, fenomeno questo in larga crescita qui da noi e ampiamente utilizzato in Nord America, dove hanno fatto dell’enoturismo un’arma vincente da diverso tempo. Dobbiamo ricordarci che far visitare i luoghi di produzione del vino rimane sempre il fattore fondamentale che ci contraddistingue, dobbiamo far innamorare il cliente (commerciale o privato) della passione che mettiamo nel produrre ogni singola bottiglia.
Roberto Ghio: L’Italia meriterebbe di essere al primo posto nella classifica internazionale del turismo. Questo è evidente per gli aspetti già trattati nelle domande precedenti (biodiversità e cultura) anche nell’enoturismo: c’è Firenze, c’è Roma, c’è Venezia che la fanno da padrone. Voglio dire che ci sono alcuni vini ed alcune zone che per meriti intrinseci hanno ricevuto particolari attenzioni e sono state spesso osannati da esperti del settore come se non ci fosse altro o come se il resto dell’Italia e del patrimonio vitivinicolo italiano fosse di serie B.

Allo stesso modo ritengo che la Langa non abbia nulla da invidiare a Roma o Venezia dal punto di vista turistico, poiché dà un’offerta differente per target ed intenzioni, ma altrettanto valida. Ritengo che sia stato e sia un grave pregiudizio della stampa di settore considerare un Barolo, un Brunello o un Gavi migliori di un Lambrusco. La qualità di un prodotto, come quella di un territorio, sta nella sua originalità, cioè nella capacità dispiegata in maniera esplicita di essere ciò che è. Compito dell’“Ente pubblico” dovrebbe essere quello di veicolare le risorse verso le infrastrutture necessarie e verso la formazione di competenze qualificate.
Angelo Roberto Boneschi: Fondamentale è l’accoglienza e che sia di qualità. Il che vuol dire:
– ordine e pulizia nel vigneto, in cantina, in sala degustazione
– personale qualificato e, soprattutto, predisposto nei rapporti interpersonali
– far provare i vini sempre abbinati con quei prodotti gastronomici del territorio che siano vere eccellenze.