• Ven 14 Mar 2025

Presente e futuro del Sagrantino di Montefalco D.O.C.G: Intervista al Dott. Marco Caprai

Un binomio indissolubile quello fra la famiglia Caprai e il Sagrantino di Montefalco. Il padre Arnaldo prima, che avvia l’Azienda vitivinicola nel 1971, e il figlio Marco ora. Una famiglia che, in pochi anni, ha trasformato un antico e misconosciuto vitigno in uno degli emblemi dell’Italia enoica nel mondo. Ecco quindi che l’intervista che segue – al Dott. Marco Caprai – prova ad analizzare lo stato di salute di un territorio e di un vitigno posti di fronte alle sfide di un mercato sempre più globalizzato e profondamente modificato dai recenti epocali cambiamenti della scena sociopolitica mondiale.

Gentilissimo Dott. Caprai, la sua Azienda ha sempre seguito la tipicità del Sagrantino anche a scapito di una sua più facile vendibilità. A questo proposito sentiamo spesso dire che molte scelte produttive nel comparto enogastronomico sono dovute alla necessità di seguire il mercato: a suo avviso, almeno per le grandi Aziende, questo non è talvolta un alibi per giustificare prodotti non sempre all’altezza? In altre parole, è il mercato a influenzare i produttori o sono i produttori a influenzare il mercato?

La tentazione di inseguire le richieste di un mercato sempre più competitivo può essere molto forte in anni di difficile congiuntura economica e di forte concorrenza internazionale. L’Italia, tuttavia, è un Paese in cui non c’è spazio per scelte differenti da quelle che premiano la qualità e la caratterizzazione territoriale dei prodotti enogastronomici.

Il Sagrantino è testimone di come una grande varietà autoctona italiana possa avere successo a livello internazionale se adeguatamente valorizzata e comunicata ai consumatori e al tempo stesso essere da traino per altre produzioni del territorio.

In una fase di generale omologazione dei prodotti e del gusto, quale futuro prevede per un grande vino come il Montefalco Sagrantino Docg?

Oggi più che mai è importante valorizzare, senza compromessi, le eccellenze territoriali dei nostri distretti produttivi. L’identità del sapore, del gusto, della bellezza e della cultura dei territori sono la strada verso la vera rivoluzione economica del Paese.

Più che una green economy esiste una italian economy da sviluppare. Il Sagrantino di Montefalco è ambasciatore di un territorio irripetibile e non omologabile in nessuna altra parte del mondo.

Dopo anni di selezione clonale, molti territori stanno riscoprendo la selezione massale: quale, a tal proposito, la posizione della vostra Azienda?

La selezione clonale è stata fondamentale per individuare i genotipi migliori di Sagrantino da omologare e riprodurre. In particolare è stata perseguita la strada di una selezione clonale “debole”, ovvero di una selezione che non ha ridotto il numero degli individui selezionati ad un unico “super-clone”.

Si è invece operato per preservare la variabilità genetica tipica del vitigno nel suo areale di coltivazione. Durante questa fase abbiamo catalogato centinaia di genotipi che sono oggi presenti in azienda in vigneti di collezione genetica appositamente strutturati.

Nuovi studi fatti in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano stanno monitorando l’espressione fenotipica di semenzali di sagrantino ottenuti da autofecondazione per indagare ulteriormente la base genetica della varietà.

Alcuni grandi territori vitivinicoli italiani stanno puntando, ormai da anni, su forme di promozione “di gruppo” volte a valorizzare la totalità delle loro potenzialità: quali strategie suggerisce per la Denominazione di Origine “Montefalco”?

Fare rete è senza dubbia la strada da perseguire negli anni a venire. Deve nascere una forte collaborazione tra le aziende e i consorzi per l’internazionalizzazione del territorio. Le nostre realtà produttive non potranno essere valorizzate adeguatamente nel mercato globale se non riusciremo a raggiungere i canali di comunicazione appropriati.

Le reti, peraltro, non dovranno riguardare solamente la promozione del prodotto, ma anche modelli per lo sviluppo tecnologico e agronomico delle aziende. La circolazione delle idee, delle professionalità e delle tecnologie di produzione sarà fondamentale per lo sviluppo dei territori che sono composti da piccole unità produttive non in grado autonomamente di essere concorrenziali sul mercato.

Odiate o amate, le guide enologiche sono da anni potenti strumenti di promozione commerciale: quale, a suo avviso, il loro ruolo nei prossimi anni?

Internet ha ormai creato un modello di visualizzazione, pubblicazione e accesso al mondo dell’informazione che solo pochi anni fa era imprevedibile. La comunicazione social sta trasformando l’economia con una rapidità estrema.

La nostra azienda sta investendo molto sulla comunicazione in rete e sta avendo dei riscontri importanti. Le guide sono state uno strumento importantissimo per la promozione dei prodotti, ma certamente la concorrenza del mondo web ha modificato il loro peso sull’influenza del consumatore.

Considerata la grandissima ricchezza di vitigni autoctoni nel nostro Paese, gli internazionali rappresentano per l’Italia, in base alla sua esperienza, una risorsa o un fattore frenante per lo sviluppo qualitativo e commerciale dei primi?

Non ritengo vi sia un problema legato ai vitigni internazionali coltivati in Italia che invece contribuiscono a produrre vini di elevata qualità ed interpretano eccellentemente le condizioni pedoclimatiche dei territori di produzione.

Il problema si pone quando le aziende decidono di perseguire delle produzioni che non mirano ad esaltare la qualità intrinseca dei territori ma la qualità del vitigno a prescindere dall’ambiente di coltivazione.

L’Italia ha un patrimonio genetico inestimabile che ha delle potenzialità di sviluppo pressoché illimitate. L’impegno che deve essere profuso da un’azienda per la coltivazione di vitigni poco noti, da interpretare e promuovere, è sicuramente maggiore rispetto a quello necessario per promuove produzioni di vitigni internazionali più identificabili sul mercato, ma, al tempo stesso, più omologati.

Doc e Docg: a 50 anni dalla Legge Desana, quali modifiche ritiene eventualmente necessarie ad uno strumento che ha concorso a promuovere i vini italiani nel mondo?

La legge Desana diede un futuro alla viticoltura italiana grazie ad un marchio di garanzia che fece fare un salto di qualità ai vini nazionali. Tuttavia oggi vi sono nuove prerogative che un vino d’eccellenza deve possedere, tra le quali il rispetto del territorio, la sostenibilità delle produzioni e, chiaramente, la qualità intrinseca del prodotto.

Inoltre va ricordato che le DOC in italiane nacquero trent’anni dopo le appellation francesi. Questo “gap” temporale è presente ancora oggi tra la viticoltura nazionale, che fatica a organizzarsi in modelli innovativi e aperti al mondo, e quella d’oltralpe che comunica ai consumatori internazionali messaggi unitari.

I nostri marchi di garanzia devono quindi essere in grado di rinnovarsi a fronte di una rinnovata richiesta di qualità dei consumatori internazionali che si muovono in un mercato globale nel quale assume sempre maggior importanza l’identità della regione di provenienza (Italia-Umbria-Montealco) per aumentare la competitività dei prodotti.

Ritiene la preparazione enogastronomica del consumatore italiano adeguata ad apprezzarne l’enorme ricchezza? Quali le strade da percorrere per aumentare la consapevolezza degli italiani a tavola?

Oggi il consumatore è certamente molto più esperto e competente rispetto a pochi anni fa. Molti territori e amministrazioni locali hanno valorizzato le proprie realtà produttive educando al gusto e alla cultura del cibo.

A Montefalco, ogni anno, la settimana enologica richiama migliaia di appassionati e turisti che hanno la possibilità di degustare i vini della denominazione e sperimentare percorsi gastronomici del territorio. Tuttavia stiamo anche vivendo nell’era dei fast food e del cibo decontestualizzato dalle zone di produzione.

Sarebbe forse necessaria una vera e propria campagna di informazione e di insegnamento scolastico sulla cultura del cibo. In questo senso un ruolo importante lo possono continuare a giocare le numerose associazioni di settore (AIS, FISAR, ONAV, SLOW FOOD, ecc.) che attraverso i corsi di degustazione e le iniziative di valorizzazione dei prodotti agroalimentari italiani diffondono la conoscenza e la cultura enogastronomica del nostro Paese.

Il vostro vino bianco di punta, la Cuvée Secrète, è chiusa col tappo a vite: quali i motivi di questa scelta e quale, a suo parere, il futuro dei metodi di tappatura in Italia?

La chiusura senza sughero è vista come un’eccezione solo in Italia. All’estero il tappo a vite è ormai completamente accettato dal consumatore. Aver creato un vino importante con una chiusura a vite è senz’altro una provocazione, ma è una provocazione in cui crediamo.

La chiusura garantisce perfetta tenuta senza influenzare in nessun modo il prodotto. La cuvée secrète rappresenta il vino in cui visualizziamo la nostra idea di eccellenza, innovazione e comunicazione. Credo che anche gli italiani si abitueranno presto ai tappi a vite che incontreranno sempre con maggiore frequenza. Forse il “gap” che ci separa da altri Paesi avanzati potrebbe ridursi se il consumatore fosse educato nel modo corretto.

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