• Ven 14 Mar 2025

Valtellina mon amour: ovvero, il Nebbiolo secondo Ar.Pe.Pe

E dove non è vino non è amore;
né alcun altro diletto hanno i mortali.
Euripide (480 a.C. – 406 ca. a.C.)

“Valtolina come detto valle circumdata d’alti terribili monti. Fa vini potentissimi e assai e fa tanto bestiame che da paesani è concluso nascervi più latte che vino” così, a cavallo dei secoli XV e XVI Leonardo descriveva nel Codice Atlantico la Valtellina e i suoi vini.

L’origine della viticoltura in Valtellina, pur affondando certamente le radici in un lontano passato, è ancora parzialmente da comprendere.

I Romani esportarono la coltivazione della vite in tutto il loro Impero, permettendo così la diffusione su vastissima scala di alcuni vitigni. L’uva Raetica (o Rhaetica) fu certamente uno dei vitigni più diffusi dell’epoca a partire dalla Rezia (quella parte dell’Impero corrispondente alla zone attualmente suddivisa fra Svizzera, Austria occidentale, Tirolo e parte della Lombardia).

Il vino retico risulta citato per la prima volta da Catone (234-149 a.C.) nel De Rustica; ritroviamo poi ulteriori autorevoli menzioni nelle Georgiche di Virgilio, nella Geographia di Strabone e nel De Rustica di Columella. È però solo con Plinio il Vecchio che, nel IVX volume della Historiae Naturalis, leggiamo un esplicito riferimento ad un vitigno Raetica che avrebbe trovato nella zona di Verona, il territorio ove esprimere al meglio le proprie qualità.

È però necessario ricordare che per i romani il concetto di vitigno era diverso dall’attuale e, spesso, riuniva non solo varietà tra loro simili dal punto di vista ampelografico, ma anche varietà accomunate solo dall’essere coltivate in una determinata zona.

Nel periodo successivo, caratterizzato dall’insediamento delle popolazioni barbariche, si hanno poche informazioni riguardo la coltivazione della vite ed è solo durante il basso Medio-Evo che si intensificano i lavori di dissodamento delle terre comunali o di villaggio e si ha la formazione dei terrazzamenti sul versante retico. La realizzazione di questi primi vigneti può essere connessa anche all’attribuzione della Valtellina, nel IX secolo, al monastero francese di Saint Denis, appartenente all’ordine monastico dei Benedettini.

È dal “Codex Diplomaticus Longobardiae” che si ricavano le prime fonti documentarie certe sulla coltivazione della vite in valle, relative ad atti di compravendita e di locazione di vigneti ubicati in particolare nella bassa valle e nella zona di Sondrio; compare la dizione “Loco et Fundo” e la voce “vinea” (vigna). II primo documento è datato Delebio 18/12/837. A partire dal XI secolo, accanto alla rinascita civile e religiosa con l’istituzione delle Pievi e durante il basso Medio-Evo, si intensificano i lavori di dissodamento e di sistemazione a terrazzo a scapito delle terre comuni e delle zone incolte e la vite si diffonde nella media ed alta valle.

Un ruolo attivo ebbero le comunità religiose e monastiche di S. Remigio e S. Perpetua (1140) nel Tiranese (monasteri con vestigia carolingia) e di S. Maria a Dona presso Prata (1160). Nei secoli XIII-XV si assiste ad un consistente sviluppo della coltura della vite. A partire dall’anno 1000 d.C. la viticoltura valtellinese conobbe momenti di grande splendore soprattutto grazie al commercio con la Svizzera e i paesi Mitteleuropei. Un nuovo periodo di grave crisi ebbe inizio nel 1797, quando la Valtellina fu nuovamente riunita al resto della Lombardia (a partire dall’inizio del ‘500 infatti era stata annessa ai Grigioni) riducendo così drasticamente le sue esportazioni.

Nel 1853, comunque, l’Imperial Regia Giunta del censimento registrava ancora 6489 ettari di terreno vitato nella provincia di Sondrio, dei quali 1764ha terrazzati posti in colle e 4725ha sui conoidi di deiezione o sul fondovalle.

L’arrivo dell’oidio verso la metà del 1800 e della fillossera all’inizio del ‘900 causarono un’ulteriore tracollo del viticoltura nella valle provocando l’abbandono di gran parte dei vigneti meno vocati.

Attualmente i vini valtellinesi stanno conoscendo un meritato rinascimento in virtù, oltre ovviamente della loro qualità, anche grazie al riconoscimento della Docg al Valtellina Superiore e allo Sforzato. L’estensione attuale dei vigneti in Valtellina è pari a 995ha di cui 915 su terrazzamenti; inoltre, circa 400ha si trovano su pendii con oltre il 30% di pendenza e 200ha a quote maggiori di 500m s.l.m.. Lo stato della viticoltura valtellinese è stata oggetto di una recente intervista, pubblicata sulle pagine di World Wine Passion, a Isabella Pelizzati Perego, titolare, insieme ai suoi fratelli, dell’Azienda Vitivinicola Ar.Pe.Pe..

La Valtellina: un corridoio tra l’Insubria e le Alpi

La conformazione della Valtellina (le Alpi Orobie bloccano gran parte dell’umidità proveniente dalla Pianura Padana) e il suo orientamento in direzione ovest – est rendono il versante retico, esposto a mezzogiorno, climaticamente ideale per la viticoltura.

Disgelo relativamente precoce, scarsità di gelate tardive, ottima insolazione (oltre le 1900 ore/anno), ventilazione costante, scarsa umidità relativa (valori generalmente compresi fra il 65% e l’80%), precipitazioni contenute (in media 850mm di pioggia/anno ) e forti escursioni termiche (nel periodo compreso fra aprile-ottobre le temperature oscillano fra i +5° ed i +32°C) sono i principali fattori climatici che concorrono alla qualità dei vini valtellinesi.

All’effetto benefico del clima si somma quello del suolo: i vigneti insistono su suoli sabbioso – limosi derivanti dal disfacimento del granito che costituisce gran parte delle Alpi Retiche. Si tratta, pertanto, di suoli acidi e poco profondi che sottopongono spesso le viti a stress idrico concorrendo così all’elevata acidità fissa dei mosti.

I terrazzamenti: un monumento al lavoro dell’uomo

2500Km lineari: a tanto ammonta lo sviluppo complessivo del sistema di terrazzi e muretti a secco che hanno reso possibile l’attuale viticoltura valtellinese. Si tratta dell’area viticola terrazzata di montagna più estesa d’Europa. Un lavoro duro e difficile che rende non competitiva, in termini puramente economici, la produzione di uve nella zona: la coltivazione di un ettaro di vigna in pianura richiede mediamente 200 ore di lavoro mentre tale valore può raggiungere le 1600 ore/ettaro per i vigneti terrazzati della Valtellina.

Nonostante la già grande diffusione dei terrazzamenti, nel 1616 Johannes Guler à Weineck, svizzero dei Grigioni, scrive che

i tralci vengono appoggiati a tastolli di legno o direttamente sulle rocce. Vi è qualche posizione la quale per se stessa non produrrebbe quasi nulla avendo soltanto pietre e dirupi… Eppure, anche lassù fra le nude rocce, si porta del terriccio in quantità sufficiente perché i tralci che si vogliono impiantare possano farvi radice; e questi crescono poi rigogliosi sulle grosse pietre e sui dirupi, formando estesi e leggiadri vigneti

(traduzione di Giustino Renato Orsini, 1959). Dalla lettura di queste righe si apprende che, almeno fino all’inizio del XVII secolo, i vigneti ancora erano coltivati, quando possibile, solo con l’aiuto di piccoli lavori di riporto di suolo proveniente dal fondovalle. In seguito, spinti dalla necessità di ampliare ulteriormente la superficie vitata, gli abitanti continuarono l’imponente opera di terrazzamento che trasformò rapidamente e radicalmente sia il paesaggio sia la viticoltura valtellinese.

In virtù del valore storico, culturale e paesaggistico, nell’estate del 2006 la zona dei vigneti terrazzati del versante Retico della Valtellina è stata candidata come Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.

Il nebbiolo non è solo Piemonte: i rossi di Valtellina

Il nebbiolo è, senz’ombra di dubbio, il vitigno principe del Piemonte dove trova condizioni ottimali regalandoci così grandi vini quali barolo e barbaresco. Ciò non vuol però dire che al di fuori di questa regione questo vitigno non possa comunque trovare altri terroir in cui in cui prosperare e produrre uve di grande qualità.

Questo è, infatti, il caso della Valtellina dove il nebbiolo, con il biotipo chiamato localmente chiavennasca, è utilizzato per produrre i vini delle denominazione di origine Valtellina superiore Docg, Sforzato Docg e Rosso di Valtellina Doc con una percentuale minima del 90%; il rimanente 10% può essere costruito da uve a bacca rossa non aromatiche autorizzate per la provincia di Sondrio. Nel territorio di produzione dei vini Docg “Valtellina Superiore” sono riconosciute le seguenti sottozone geografiche storiche: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella. Il nebbiolo, inoltre, concorre alla produzione delle differenti tipologie di vini ammessi all’interno della denominazione Terrazze Retiche di Sondrio Igt.

La chiavennasca: l’altro nebbiolo

L’origine del vitigno nebbiolo è stato oggetto negli ultimi 10 anni di numerose ricerche genetiche e ampelografiche. Queste ricerche hanno riguardato sia lo status dei diversi cloni di Langa a partire dai tre principali (làmpia, michet, rosé) sia le relazioni tra questi ultimi e i nebbioli dell’area alpina e prealpina (picoutener, prunent, chiavennasca, chiavennaschino, spanna, ecc…).

I dati principali che emergono da queste ricerche sono la sostanziale differenza del genotipo del rosé da quello di làmpia e michet, la sinonimia del rosé con il chiavennaschino e la grande diversità genetica dei vitigni ritenuti strettamente imparentati con la chiavennasca (negrera, brugnola, rossolino nero, bressana, rossola). Inoltre, il fenotipo chiavennasca può essere ritenuto sinonimo di làmpia, ferme restanti le diversità clonali. La grande varietà genetica del “gruppo nebbiolo” in Valtellina può essere interpretata come prova dell’origine di questo vitigno in provincia di Sondrio; d’altro canto, la stessa osservazione può essere spiegata alla luce del lungo isolamento del territorio valtellinese dal resto dell’areale del nebbiolo con conseguente differenziamento genetico del vitigno.

Interessante è la scoperta che il fenotipo rosé sia stato storicamente molto diffuso in Valtellina (500ha nel 1882) col nome di chiavennaschino. Attualmente è coltivato soprattutto nella sottozona Sassella, dove è preferito alla chiavennasca per via della sua minore sensibilità alla siccità.

Gli altri autoctoni: un patrimonio genetico da tutelare

L’Italia è tradizionalmente un paese ricco di vitigni autoctoni e la Valtellina non fa certo eccezione in tal senso. II numero esatto di vitigni andati perduti non è conosciuto con precisione; tuttavia il progetto di recupero delle antiche varietà ha permesso finora di individuare e conservare 80 cultivar di antica coltivazione. Tra i vitigni autoctoni a bacca rossa ricordo: Casaless, Pignola, Rossola, Rossera, Brugnola, Montorfola, Negrera, Traonasca, Berzamina, Bressana, Fortana, Corvino, Negrello, Rossolino Rosa, Rossolino Nero, Tintorello; come autoctono a bacca bianca cito il Bianco Veron Cabriass, la Verdesa, il Lugliatico, il Sant’Anna. Attualmente la Fondazione Fojanini ha attivato un progetto di conservazione e moltiplicazione degli autoctoni valtellinesi. Numerose varietà, spesso note per pochissimi individui e senza un nome preciso, sono attualmente coltivate nella collezione ampelografica della Fondazione e per un buon numero di questi (25 varietà a bacca rossa e 17 a bacca bianca) sono in corso interventi di riproduzione (dati tratti da: “La selezione clonale viticola in Lombardia” a cura della Fondazione Fojanini).

Ar.Pe.Pe, il vino è di famiglia

Se è vero – come spesso è vero – che il vino invecchiando migliora, allora questo è vero anche per i vignaioli e le loro Aziende. Festeggiati – nel 2011 – i 150 anni di attività di famiglia, la famiglia Pelizzati Perego continua, dopo non poche vicissitudini famigliari e aziendali, a produrre vino in Valtellina, coniugando felicemente tradizione e innovazione, per mantenere nei propri vini l’anima di un terroir difficile ma grandissimo.

L’Azienda – guidata inizialmente da bisnonno Arturo e poi dal nonno Guido e dal papà Arturo – ha seguito le vicende umane di questa famiglia di appassionati viticoltori. Era il 1973 quando, alla morte di nonno Guido che aveva gestito per anni la più grande realtà vitivinicola della Valle con più di 50 ettari di vigneti, fu deciso, per problemi interni alla famiglia stessa, di vendere vigne e cantina ad un gruppo a capitale svizzero-americano. Papà Arturo, però, non si arrese e, dopo anni passati a lavorare come dipendente in quelle che erano state le proprie vigne, riesce finalmente nel 1987 a dar vita al suo sogno ricostituendo l’Azienda a partire da un nucleo di vigne riacquistate in Sassella. Nasce così Ar.Pe.Pe – acronimo di Arturo Pellizzati Perego – per guardare al futuro senza perdere di vista il proprio passato. Ed eccoci a tempi più recenti anche se tristi: nel 2004 – a soli 62 anni – Arturo viene a mancare e l’Azienda passa nelle mani dei figli Isabella, Guido ed Emanuele.

Oggi l’Azienda è costituita da 12 ettari di vigne, dei quali 10 di proprietà (8,5ha Sassella, 1ha Inferno, 2,5ha Grumello) e produce circa 50.000 bottiglie all’anno. Grande importanza riveste in cantina l’uso del legno che accompagna, con sobrietà e discrezione, i vini lungo tutto il loro percorso. Le fermentazioni alcolica e malolattica, affidate esclusivamente a lieviti e batteri autoctoni, avvengono, infatti, in troncoconici con il controllo della temperatura ottenuto mediante l’utilizzo di acqua di falda. L’invecchiamento di tutti i vini avviene poi solo in legno grande di castagno con parti di rovere e acacia.

Un ruolo fondamentale nel garantire la qualità dei loro vini è ricoperto anche dall’età delle vigne con un’età media di circa 50 anni; è, però, da sottolineare che in Sassella non sono rari i ceppi di oltre un secolo di vita. Nei filari non vengono, pertanto, effettuati espianti, ma sono solamente coperte le fallanze. Fino al 2004, erano utilizzate barbatelle aziendali ottenute per selezione massale; dopo quella data sono state utilizzate quelle ottenute dalla Fondazione Fojanini in collaborazione con la professoressa Schneider dell’Università di Torino a partire da 10 antichi cloni valtellinesi.

Grande importanza viene riservata alle caratteristiche climatiche delle singole annate che sono suddivise in grandi e piccole riserve: per i vini Docg l’Azienda produce, infatti, esclusivamente riserve, in quanto i titolari sono convinti che i nebbioli di Valtellina necessitino di un paziente invecchiamento in legno e in bottiglia prima di poter esprimere al meglio le loro doti di finezza, eleganza e longevità. Le grandi riserve, ottenute con lunghe macerazioni (40 – 50 giorni) e invecchiamento di 4 – 5 anni in botte grande seguiti da almeno tre anni in bottiglia a partire da uve prodotte a quote comprese fra i 400 e i 600m, sono prodotte solo nelle migliori annate; in annate medie, con le stesse uve, vedono la luce le piccole riserve, per le quali si opera su tempi generalmente circa dimezzati.

Dalla vigna al bicchiere: le degustazioni

Rosso di Valtellina Doc 2011

Il rosso rubino che questo vino mostra nel calice, segno apparente di una gioventù non ancora del tutto sfociata in maturità, rappresenta, una volta avvicinato il bicchiere al naso, solo un indizio di attesa longevità. Il bouquet di questo Rosso di Valtellina unisce già, infatti, il frutto rosso e la violetta a sentori di pepe nero e cuoio, a indicare un percorso evolutivo ottimamente intrapreso ma ancora lontano dall’essere terminato. L’eleganza e la grande finezza olfattiva trovano perfetto contraltare nella trama tannica, avvolgente e setosa, nonché nell’ottimo equilibrio e nella lunga persistenza.

Sassella Stella Retica Valtellina Superiore Docg Riserva 2006

Pur trattandosi, come raccontatoci molto sinceramente da Isabella Pellizzati Perego, di una “piccola Riserva, lo Stella Retica inizia ad incantarci fin dal primo sguardo. Il colore rubino luminoso, che mostra solo i primi riflessi granato, ci conduce ancora più in profondità nel mondo unico di questi grandi nebbioli. Questo è un mondo riservato e discreto, che si concede solo a chi voglia avvicinarglisi libero dai ricordi di vini opulenti e piacioni, ma sinceramente attratto dalla sua eleganza e riservatezza.

Ecco quindi che il naso dello Stella Retica, non certo di grande intensità, si dischiude con garbo e finezza in sentori di frutti rossi arricchiti da note cuoio, tabacco, incenso e cacao letteralmente avvolti in sottofondo di liquirizia che ci ricorda, se ancora ve ne fosse bisogno, che in Valtellina il nebbiolo sa essere davvero grande.

Sassella Rocce Rosse Valtellina Superiore Docg Riserva 2002

Il 2002, annata difficile in molte zone d’Italia, ha regalato – in Valtellina – grandi soddisfazioni a produttori e appassionati. Era il settembre 2013 quando avemmo il piacere di assaggiarlo: gli 11 anni trascorsi dalla sua nascita avevano trasformato questo vino in un gentiluomo che, superate le intemperanze dell’adolescenza, si affaccia alla vita adulta ancora ricco di giovanile entusiasmo.

Il magnifico color granato con riflessi rubino ci introduce, visivamente, all’eleganza del suo bouquet. In grado di coniugare una maggior intensità ad una grande finezza, il Rocce Rosse mostra, in virtù dell’annata e della selezione delle uve, un profilo olfattivo più giovanile ancora legato ai piccoli frutti – quali ribes rosso e cassis – e ai pot-pourri di fiori rossi, segno di poter ambire con diritto a una vita ancora molto lunga e felice. In bocca colpisce per la tessitura dei tannini – fini, polverosi ed avvolgenti – oltre che per l’ottima armonia e la lunga persistenza.

Sassella Ultimi Raggi Valtellina Superiore Docg Riserva 2006

Ultimi Raggi necessita, per essere degustato al meglio, di conoscerne la storia e alcuni aspetti della produzione in vigna e in cantina. Nato con la vendemmia del ’99, questo vino è prodotto, in media, solo tre volte ogni 10 anni. È ottenuto dalle uve di una vigna di circa un ettaro sita nella porzione più alta della Sassella a circa 600m di quota. La raccolta ha luogo circa un mese più tardi rispetto a tutte le altre, per conferire alle uve stesse maggior concentrazione e lievi note di surmaturazione; non viene effettuato il taglio del tralcio permettendo così al grappolo di continuare la propria maturazione sempre nutrito dalla vite. Dopo la vinificazione, che avviene con circa 15 – 20 giorni di macerazione, l’Ultimi Raggi riposa per tre anni in legno grande e per tre anni in vetro prima di essere commercializzato.

Vino dal colore rosso rubino intenso, questo Sassella regala un naso nel contempo intenso ed elegante, caratterizzato da profumi di ribes nero, fiori rossi appassiti, tabacco e cuoio, unitamente a sentori di spezie dolci e lievi note di surmaturazione. In bocca è di grande eleganza, grazie alle struttura tannica fine e avvolgente che, insieme alla freschezza, dona armonia al vino bilanciandone la morbidezza; la grande persistenza e la gradevolezza del retrogusto rendono la degustazione di questo vino un’esperienza capace di durare nel tempo.

Azienda Vitivinicola Ar.Pe.Pe.
Via Buon Consiglio, 4
23100 Sondrio, Italy
Tel +39.0342.214120
www.arpepe.com
info@arpepe.com

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